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Rosa

16 dicembre 2011

Il dolore: amico o nemico?


Una cosa è fare il vuoto, un’altra cosa ancora più profonda è essere svuotati. Il dolore fa esattamente questo. Ci svuota, se glielo  permettiamo.
Ogni giorno si ingoiano milioni di tranquillanti; milioni di persone stanno appiccicate alla televisione a guardare telenovelas o grande fratello.
Sembra proprio che la nostra cultura non sia adatta ad affrontare il dolore.
Il dolore oggi è una realtà che non si può menzionare, proprio come non si doveva parlare di sesso nell’era vittoriana.
Ma il dolore è dappertutto ed è profondo, impalpabile, inconcepibile, universale.
E deve essere nominato per quello che è, così che possiamo “pregarlo”, cioè entrare in esso.
L’unico modo con il quale un dentista può risolvere un mal di denti è entrare dove è la fonte del dolore in una cavità dentaria.
Coprire il dolore con droghe, alcool, televisione, o con lo shopping non ci libera da esso. E’ solo un modo di assecondarlo; è permettergli di dominare le nostre vite, invece che a regolarle siano l’eros e l’amore per la vita.
Gran parte dei valori e delle realtà di una società si può comprendere ascoltando i suoi giovani –che si suicidano in percentuali record-.
Il dolore arriva a essere molto profondo nella vita delle donne, come osserva Carol Christ:
“Quando è ancora molto giovane una ragazza si rende conto che essere femmina significa capire che i suoi fratelli hanno il diritto di richiedere l’attenzione della madre più di lei, e che il padre non giocherà a pallone con lei. Essere femmina significa che anche se prende il massimo dei voti, la sua carriera non sarà uguale a quella di un maschio che non prende il massimo dei voti. Essere femmina significa che lei non è importante, tranne che in virtù delle sue relazioni con ragazzi e uomini”.
Ammettere il dolore, permettere al dolore di essere, non è cosa facile.
Per questo ci vuole coraggio, un cuore grande, che è la virtù essenziale del viaggio spirituale.
Se non lasciamo che il dolore sia dolore (e tutta la nostra cultura patriarcale vorrebbe evitarlo) allora il dolore ci rincorrerà e ci provocherà degli incubi.
Diventeremo le vittime del dolore invece che i guaritori e le guaritrici che possiamo diventare.
Alla fine, diventeremo coloro che provocano il dolore.
Nel dolore bisogna entrare, diventarne amici. Anche Gesù ebbe la stessa intuizione: amate i vostri nemici.
Il dolore è il nostro nemico, ma questa non è una scusa per fuggirlo invece di abbracciarlo, anzi riempirlo di baci così a lungo che alla fine possiamo veramente abbandonarlo.
Non è possibile lasciare il dolore senza prima abbracciarlo e amarlo, anche se non in quanto dolore, ma come un fratello, che fa parte della contrapposizione tra il piacere e il dolore  della nostra vita.
L’eros non fiorisce senza un prezzo, e ogni rosa ha le sue spine.
Il poeta giapponese Kenji Miyazawa ci ha lasciato una immagine molto forte del rapporto con il dolore quando ha detto che dobbiamo abbracciarlo e bruciarlo come carburante per il viaggio. Immagina che raccogliamo il nostro dolore come fosse una fascina di legna per il camino.; mentre camminiamo nella stanza avvicinandoci al camino, la abbracciamo, poi la gettiamo nel fuoco e ce ne liberiamo, la lasciamo andare e , alla fine, il suo sacrificio ci riscalda e ci dà  gioia sotto forma di fuoco, calore ed energia.
Questo è il modo con cui possiamo, anzi dobbiamo trattare il nostro dolore.
Prima viene l’abbraccio, lasciare che il dolore sia dolore; poi viene il viaggio insieme al dolore; poi viene l’abbandono del dolore, in modo deciso, nel fuoco, in un calderone, dove l’energia del dolore potrà ancora servirci.
E alla fine viene il beneficio che deriva dall’aver bruciato questo carburante. Il dolore ci deve dare energia.
E che tipo di energia?
Prima di tutto il dolore serve a capire altre persone che soffrono. Il dolore è profondamente sociale, è eminentemente condivisibile, e non è affatto una coincidenza che il nascondimento del dolore sia parallela alla privatizzazione del corpo, del piacere e della spiritualità nella nostra cultura.
Un’esperienza di dolore vissuto come tale è sempre una scuola di compassione; quando una persona ha sofferto profondamente anche una sola volta, e ha sentito il dolore come suo, questa persona non può dimenticare e le diventa impossibile non riconoscere il dolore degli altri.
Il dolore distrugge l’illusione del falso piacere, cioè del piacere destinato a pochi. Brucia l’esterno dall’interno, e quindi ci rende sensibili a ciò che è veramente bello nell’esistenza.
Molly Rush, nonna di sette nipoti, che fu incarcerata per aver protestato contro il sottomarino Trident, un’invenzione che porta dentro di sé più potenziale distruttivo di quello di tutte le guerre della storia messe insieme, ebbe un’esperienza di risveglio al piacere mentre doveva sopportare le sofferenze della vita in prigione.
Rush ha scritto:
           “Lo scorso ottobre mi ritrovai in uno squallido cortile di prigione, e scoprii in mezzo al fango diciotto varietà di fiori selvatici. Alcuni erano quasi troppo piccoli per vederli, finché non avevi passeggiato attorno a quel cortile per un centinaio di volte. Forse al centesimo passaggio avresti potuto contarne cinque. Dopo parecchi giorni, invece, potei contarne diciotto…. Non ci accorgiamo mai dei fiori attorno a noi, ma quando sono tutto quello che c’è da vedere, diventano preziosi”.
Quando le fu chiesto che cosa avesse imparato dal suo impegno con l’associazione pacifista e del suo periodo in carcere rispose: “Ho acquisito un senso più grande del valore della vita”.
Da adulti diventiamo automatizzati di fronte alla bellezza delle forme, dei colori e dei profumi che ci circondano continuamente (mentre questo non succede, di solito, ai bambini) e perdiamo il senso del piacere, della preziosità della vita.
Il dolore non cercato, se lo “preghiamo”, cioè se entriamo in esso senza mascherarlo o fuggirlo, spesso riesce a riportarci all’amore per la vita.

Hai vissuto una esperienza di dolore che ti ha cambiato?
Mi piacerebbe sapere la tua opinione in proposito.
Rosa

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